Lo scorso 23 Novembre a
Bologna, Nomisma ha reso pubblico il suo terzo rapporto sul mercato immobiliare
italiano nel 2011, basando la sua analisi sulle 13 maggiori città italiane che
da sole rappresentano circa il 30% della superficie concessa in Italia. I
risultati di questo rapporto non sono quelli attesi, anzi si prevede un calo
delle compravendite che a fine anno dovrebbero raggiungere la quota di 565.000
unità. Due sono gli indicatori principali di questo rapporto; il primo attiene
alla variazione percentuale dei prezzi di sconto, che nel secondo semestre 2011
fa segnare un – 1,6% per le abitazioni, - 2,3% per gli uffici e un – 1,9% per i
negozi (rispetto ai corrispettivi - 0,7% , - 0,9% e – 0,7% del primo
semestre). Altro dato importante attiene ai tempi medi di vendita, che si
assestano per le abitazioni a 6,6 mesi, per gli uffici a 8,8 e per i negozi a
7,9.
Secondo Nomisma le
previsioni continueranno ad avere valori negativi per i prossimi due anni e
solo nel 2014 ritorneremo su valori positivi.
Ma è possibile che i
motivi di tale situazione siano da ricondurre solo al grave periodo di crisi
economica che stiamo attraversando, a questa possibile double dip
ed ad un’offerta di immobili superiore alla domanda?
Ho letto anche di alcuni
suggerimenti, ovvero di un piano immobiliare simile a quello lanciato dal
governo inglese qualche giorno fa (400 milioni di sterline per la costruzione
di nuovi alloggi). Ottemperare al blocco dei finanziamenti del sistema
creditizio, con finanziamenti statali!
Questa a mio parere costituirebbe la classica soluzione
all’italiana che non aiuterebbe per niente il mercato immobiliare, un mercato
che deve essere modificato dalle radici. Se è vero che è diminuita negli ultimi
anni la domanda interna di immobili è anche vero che è diminuita la domanda da
parte di stranieri. Di sicuro i motivi non sono solo da ricondurre alla
gravosità del debito italiano, ed alla sua situazione politica. Numerosi sono
gli elementi di criticità che rendono “inappetibili” gli immobili italiani.
Faccio riferimento all’inefficienza della burocrazia statale, all’alto livello delle
aliquote fiscali, ad infrastrutture inadeguate per un
paese come l’Italia, ed ancora, corruzione; tutti aspetti che incidono in
misura diversa ma che uniti all’instabilità politica ed alla difficoltà di
accesso ai finanziamenti, spingono le scelte degli investitori su altri
mercati. Non è un caso che le sole città a rendere in Italia sono quelle che
possono essere definite “prime”. Ovvero, città che vuoi per il loro
forte interesse storico culturale, vuoi anche per il loro ruolo
economico/finanziario, svolgono la parte di prime della classe in un contesto
tutt’altro che positivo. Mi riferisco a città come Firenze, Venezia, Milano e
Roma. In particolare la domanda da parte di stranieri negli ultimi due
anni si è concentrata soprattutto su Milano e Roma, facendo in modo che
raccogliessero circa il 60% degli investimenti totali, essendo considerati
infatti mercati più sicuri, con minori rischi e con un maggior livello di
informazioni.
© Riproduzione Riservata
Nessun commento:
Posta un commento